Il futuro, la persona e la tecnologia

Qualche tempo fa un amico mi ha chiesto di scrivere un breve articolo sul futuro. “Vorrei sapere cosa ne pensi del futuro, dal punto di vista tecnologico e non solo”. Una cosa così, almeno per quello che io ricordo.

La cosa è tornata a galla di tanto in tanto nei miei pensieri ma, ogni volta, veniva ricacciata sotto il pelo dell’acqua da un dubbio:

Ha senso parlare del futuro se tanto poi si sbaglia?

Quest’ultima domanda contiene una grande verità: quanto si parla del futuro si sbaglia praticamente sempre. Può però capitare, a volte, che parte di quello che viene detto o scritto effettivamente si materializzi. Succede. Ma quando succede, molto spesso quel futuro è diverso in qualche dettaglio che, a posteriori, diventa assolutamente chiaro.

Allora come i giganti ci hanno insegnato, guardiamo al passato per capire il presente ed immaginare il futuro. Lo faccio prendendo spunto da una cosa capitata giusto di questa mattina: riordinando alcuni scaffali mi è capitato per le mani un libro del 2002 che parla di innovazione. Sfogliandolo mi è caduto lo sguardo su due parole, “tablet PC”, che mi hanno incuriosito. Mentre leggevo domanda ha iniziato a ronzarmi nella testa: ma l’iPad non è del 2007?

Sbagliato, l’iPad è stato presentato nel 2010, più o meno la metà del tempo che ci separa dal 2002.

Sto divagando, torniamo al testo. L’autore evidenziava come ciò che mancava ai tablet di allora era il riconoscimento della scrittura “naturale”, insomma quella con la penna. E che una volta risolto questo problema – ovvero quando il riconoscimento della scrittura con la penna sarebbe diventato affidabile – il “tablet PC” sarebbe diventato onnipresente.

Passati 16 anni cosa possiamo dire di quella previsione? Fra le tante cose ne evidenzio una: la presunta barriera – il riconoscimento della scrittura con la penna – non è stata affatto determinante per il successo (passato?) dei tablet. Le dita sono state più che sufficienti.

O meglio, il semplice fatto – a posteriori – che non è affatto necessario dover scimmiottare uno strumento – la penna – per interagire con un tablet. E’ invece stato sufficiente sviluppare un modo diverso per l’interazione persona-macchina o persona-tecnologia, (ri)mettendo la persona al centro. Questa, per me, è la porta verso il nostro futuro prossimo venturo.